Arte ed Estetica: Introduzione
In questa pagina vengono proposte alcune considerazioni sui concetti di Arte ed Estetica.
Il vocabolo Arte deriva dal latino “ars” e, come il termine greco “téchne”, indicava la capacità di “fare” e di “produrre”.
Nel linguaggio moderno il termine Arte è associato ad attività particolari come letteratura, musica, teatro e specialmente pittura, scultura, architettura (le cosiddette “arti figurative” o “belle arti”, ovvero l’Arte “tout court”).
Durante i secoli si sono susseguiti riflessioni, studi e dibattiti riguardo alla definizione del denominatore comune di queste attività, giungendo sempre a risposte diverse e contrastanti.
Nel XVIII secolo, tutte queste considerazioni confluirono nella disciplina dell’Estetica.
Il termine Estetica deriva dal greco “aisthánomai”, ovvero “sento”.
Esso indica la “teoria della conoscenza sensibile” e venne utilizzato per la prima volta in tal senso da Kant, che intitolò “Estetica trascendentale” la prima parte della “Critica della ragion pura”.
Baumgarten, fondatore dell’Estetica come disciplina filosofica autonoma, la definì come “conoscenza sensitiva”, avente per oggetto le percezioni, che pur essendo confuse presentano una loro logica studiabile con metodi scientifici.
Arte ed Estetica: I Punti di Vista
Il rapporto tra Arte ed Estetica e il significato assunto dall’Opera d’Arte variano a seconda di come vengano presi in considerazione gli elementi che partecipano al processo artistico.
Inoltre il prodotto artistico acquisisce valori diversi a seconda di chi lo prenda in considerazione: l’esecutore materiale, il fruitore immediato e il fruitore futuro.
I punti di vista degli studiosi riguardo all’Arte sono molteplici e contrastanti proprio perché partono da presupposti diversissimi.
La Bellezza
Quando nella cultura europea dell’età moderna si cominciò a parlare di Arte ed Estetica, il denominatore comune delle discipline artistiche era quello della “Bellezza” dell’Opera d’Arte, elaborata secondo il concetto “Classico”.
Questo metro di giudizio risultò però limitante, forviante e incompleto quando cominciò a essere applicato a opere simili ma prodotte in diversi contesti culturali e cronologici, proprio perché esso stesso “prodotto” di una specifica cultura.
Tale problema non venne comunque risolto sostituendo il canone classico di Bellezza sviluppato in Occidente con canoni variabili a seconda delle culture prese in esame, poiché i criteri diventarono aleatori.
Arte, Linguaggio e Simbolo
L’elaborazione del legame tra Arte ed Estetica subì un cambio di prospettiva da parte di alcuni autori che avvicinarono i concetti di Arte e di Linguaggio, inteso come produzione e uso di Simboli.
Si possono individuare due indirizzi di studio opposti per i quali l’Arte divenne il Linguaggio esemplare:
come produzione di Forme Simboliche che sono riferimenti per tutti i Segni usati per comunicare;
oppure, come produzione di Simboli esplicanti Verità e Sacro, che restano indipendenti dai Segni “profani” che tuttavia generano.
Nel primo caso, l’Arte è considerata come una capacità innata e universale dell’Uomo di produrre qualcosa che gli permetta di comunicare.
Nel secondo, Arte e Simbolo scoprono e comunicano il Sacro e la Verità e pertanto si limitano a un gruppo ristretto di individui all’interno di una società.
Considerare l’Arte come produzione di Simboli priva di senso il concetto di Bellezza, sia che venga considerato come un canone immutabile che come variabile a seconda delle diverse culture.
Questo rende ininfluente anche la valutazione della capacità tecnica dell’artista.
Tale approccio resta pertanto limitato alla Critica d’Arte Storica, da un lato, oppure, all’opposto, agli studi mistici sul Simbolo.
Arte, Natura e Società
Sviluppi particolari si hanno quando l’Arte come Linguaggio venga considerata in rapporto con gli elementi che intervengono nel processo artistico, ovvero la Natura e la Società.
La Natura
Il rapporto tra Arte e Natura è legato allo studio dei Segni usati nel processo artistico e porta a due concezioni opposte.
Per la prima l’Arte si contrappone alla Natura, quindi l’Uomo userebbe i Segni per evidenziare la sua autonomia dalla Natura, conferendo alla Materia una Forma propria dell’umano.
Per la seconda concezione, Arte e Natura non si oppongono, perciò l’Uomo vorrebbe continuare l’operato della Natura attraverso i Segni, che imitano Prototipi che essa stessa fornisce.
Entrambe queste modalità di interpretazione si occupano dell’origine dell’Arte ma non spiegano perché siano stati utilizzati certi Segni piuttosto che altri, lasciando ad altri campi di studio l’origine dei Simboli.
La Società
Tra Ottocento e Novecento, gli studiosi europei cominciarono a indagare il rapporto tra Arte e Società.
Le varie teorie che nacquero in questo periodo furono dipendenti dalle diverse prospettive di partenza.
In vari periodi storici, alcuni studiosi, come Kant o Riegl, vincolarono l’Arte alla Bellezza, privandola di qualsiasi finalità che con fosse la sua pura esistenza, considerando estrinseche a essa tutte le funzioni sociali, religiose, politiche o ludiche.
Altre correnti di pensiero hanno considerato invece essenziali le funzioni sociali dell’Arte, studiandole però soprattutto separatamente.
Il Gioco
Uno di questi filoni teorici ha individuato l’origine dell’Arte nella necessità intrinseca all’Uomo di giocare, ovvero di stabilire regole arbitrarie e uno spazio stabilito.
Secondo queste teorie, i Segni e i Simboli utilizzati nell’Arte sarebbero stati in origine gli strumenti del Gioco.
La funzione sociale dell’Arte consisterebbe nel garantire uno spazio di libertà condivisa e accettata all’interno della collettività.
Queste teorie si presentano come alternative all’idea di Arte come lavoro o produzione e sono alla base dell’affermarsi di fenomeni artistici come l’“happening” e degli studi di antropologia culturale riguardanti il Rito.
La Politica
Un altro filone di studi si è invece concentrato sul condizionamento economico e politico della cultura, e quindi anche dell’Arte, considerando soprattutto le funzioni di conoscenza e di riscatto sociale potenzialmente presenti nell’operare artistico.
Nel Novecento, autori influenzati in diverso modo dalle teorie marxiste, come Luckács, Brecht o Benjamin, hanno teorizzato la necessità di un’Arte che potesse servire alla lotta di classe e all’affrancamento del proletariato.
In tale contesto l’Arte diventa uno strumento politico, in quanto capace di cogliere in modo dialettico la Realtà.
Arte ed Estetica: I precedenti
Per molti secoli, la descrizione del binomio Arte ed Estetica è stata preceduta da studi aventi come oggetto i rapporti tra Arte e Conoscenza.
L’Antichità
Platone
Molto prima che si arrivasse alla definizione di Arte ed Estetica in senso proprio, fu Platone a proporre una soluzione al problema del rapporto tra Arte e Conoscenza.
Nella sua opera, l’Arte e la Scienza sono considerate come due tentativi di esprimere la struttura del mondo delle Idee.
Per tale motivo entrambe devono essere valutate seguendo il criterio della loro adeguatezza alla Realtà delle Idee:
l’Arte all’Idea del Bello,
la Scienza all’Idea del Vero.
La Natura è copia della Realtà Ideale e l’Arte è imitazione della Natura (mimesis), perciò può esprimere in misura minima la Verità.
Per tale motivo e perché scatena le passioni, l’Arte non può essere strumento di educazione sociale e deve essere bandita.
Uniche eccezioni sono la Musica e la Danza che con la loro relativa astrattezza possono cercare di raggiungere il mondo delle idee.
Aristotele
Per Aristotele l’Opera d’Arte era invece creazione di un’individualità, non semplice imitazione di una Idea preesistente.
Pertanto, nell’Opera d’Arte si rivela l’Idea, perché la Forma Ideale può manifestarsi solo plasmando la Materia.
Tali affermazioni elaborano:
la tesi della relazione di reciprocità tra concetto generale e rappresentazione individuale;
la specifica tesi del rapporto sintetico tra Forma e Materia nell’Opera d’Arte;
la definizione di Forma Ideale come esistente nella mente dell’Artista, in contrasto con il platonico mondo delle Idee.
Plotino
Plotino cercò una sintesi tra le concezioni platoniche e aristoteliche, elaborando una teoria sull’Arte che influenzerà la cultura fino al Rinascimento.
Partendo dalla tesi di Aristotele che fa nascere l’Opera d’Arte da una rappresentazione che è già nella mente dell’Artista, Plotino arrivò a considerare l’artista come colui che introduce nella Materia una Forma Ideale, contemplata in una “visione interiore” diretta.
L’ideale estetico di Plotino e dei neoplatonici si rivelò tuttavia contradittorio: se compito finale della creazione artistica è arrivare alla Forma Ideale, incontaminata dalla Materia, esso è evidentemente irraggiungibile.
Il Medioevo
La tradizione neoplatonica continuò nell’epoca medioevale, quando primi abbozzi di Letteratura d’Arte ed Estetica proposero il concetto di Proporzione come essenziale per l’Idea di Bellezza.
I Canoni della Proporzione
La Proporzione è comunemente intesa come l’Armonia che proviene dall’Unità nella Varietà.
Tuttavia, i canoni di Proporzione usati per definire la Bellezza variarono da autore ad autore:
Boezio considerò le leggi matematiche che regolano i rapporti musicali;
Ugo di San Vittore e Vincenzo di Beauvais partirono dagli archetipi pitagorici che regolano le relazioni tra Macrocosmo e Microcosmo;
la Scuola di Chartres considerò fondante la Natura, vista come un complesso organico di Cause che organizzano la Materia in un Cosmo ordinato.
Le Estetiche della Luce
Altri studiosi, come Roberto Grossatesta e Bonaventura da Bagnoregio, invece partirono dal principio di Perfezione dell’Unità e dell’Identità e svilupparono le estetiche della Luce, per le quali la Bellezza si fonda su una qualità sensibile, come la Luce o il Colore.
Questi indirizzi di pensiero consideravano l’Unica Luce primordiale come fonte della Bellezza e dell’Essere, perciò la Luce era la Sostanza dell’Universo.
Per Tommaso d’Aquino, la Bellezza era una proprietà oggettiva che rimaneva potenziale senza l’atto soggettivo della Percezione, intesa come Conoscenza, ovvero la “visio”.
La Bellezza oggettiva era determinata dalle tradizionali qualità di:
“integritas” ovvero la Perfezione;
“proportio”, cioè la Proporzione;
“claritas” ossia la Luce.
Pertanto, la Bellezza era ciò che permetteva alla Sostanza, ovvero alla Cosa, di realizzare la propria Finalità interna, ossia adeguarsi al suo scopo, essere utile.
Il Rinascimento
Con l’Umanesimo alla concezione dell’Arte come imitazione della Natura si affiancò il problema dell’imitazione degli Antichi.
Da quel momento, si ritenne che l’Arte per raggiungere appieno la Bellezza dovesse superare l’imperfezione della Natura.
Allo stesso tempo, l’Antichità veniva considerata un modello di perfetta Proporzione tra Idea ed Espressione, da cui elaborare un’Arte ed Estetica autonome.
Le regole elaborate da teorici come Pico della Mirandola, Poliziano, Bembo, e da autori come Alberti, Leonardo, Vasari, portarono a diverse conseguenze:
l’Opera d’Arte venne vista come risultato di una costruzione cosciente dell’Artista;
l’Artista stesso diventò cosciente di essere il soggetto creatore;
si ricercò un equilibrio tra imitazione della Natura, produzione della Bellezza, Imitazione degli Antichi e Innovazione.
Il Manierismo
Gli artisti manieristi cercarono di emanciparsi dalle regole rinascimentali attraverso la deformazione del Naturale e l’elogio dell’Artificiale.
Nello stesso tempo, teorici come Lomazzo e Zuccari, volendo legittimare questa libertà artistica, dettero nuova dignità alla figura dell’Artista che diventò non solo genio creatore ma anche veggente.
Questi artisti-teorici considerarono l’Arte come una via indipendente per raggiungere l’Idea, considerata come la Forma visibile perfetta di ogni Cosa.
D’altra parte, si fece più profonda la ricerca di una soluzione ai perenni dualismi soggetto-oggetto e genio-norma, che tuttavia rimase irraggiungibile.
Il Barocco
La rivoluzione scientifica e filosofica che avvenne nel Seicento sconvolse anche la relazione tra Arte ed Estetica:
l’Uomo non era più metafisicamente al centro di un Cosmo finito e a lui subordinato, e pertanto doveva comprendere e conquistare la propria posizione per mezzo delle sue capacità.
L’artista ruppe i canoni tradizionali, utilizzando invenzioni eccentriche e ricercando un nuovo ordine attraverso lo studio scientifico della Natura.
I limiti dell’artista diventarono quelli della Fantasia, e la Letteratura Artistica del periodo poté analizzarli con:
i criteri oggettivi di Bellezza offerti dal Classicismo;
i criteri soggettivi del Gusto, legati alle nozioni di sentimento, intuizione, fantasia e genio, elaborate in questo periodo.
Arte ed Estetica: La disciplina autonoma
Dopo i cambiamenti ricevuti dal ruolo dell’artista nella società e nella cultura tra Cinquecento e Seicento, i concetti di Arte ed Estetica subirono necessariamente un cambiamento anche in ambito filosofico e approdarono ai significati moderni.
Arte ed Estetica: Il Settecento
Nel Settecento i filosofi illuministi proposero una nuova definizione di Estetica.
La storica contrapposizione tra oggettività e soggettività dell’Opera d’Arte venne completamente rimodulata e il legame tra Estetica e precettistica artistica si spezzò.
Il Classicismo, specialmente francese, che aveva una concezione normativa dell’Estetica, dovette riformulare i Criteri Oggettivi del Bello attraverso lo studio dei rapporti tra Arte, Scienza e Linguaggio.
Nello stesso periodo, si sviluppò la concezione empirista dell’Estetica, basata sul nuovo concetto di Gusto.
L’oggetto dell’Estetica non era più il Bello ma il Giudizio Estetico, ovvero la fruizione di “tutto”: il Bello dell’Arte, il Bello della Natura, il Sublime, l’Orrido, il Brutto.
Questo cambio di prospettiva portò al nuovo problema dell’individuazione dei “criteri” su cui doveva fondarsi il Giudizio Estetico.
Le varie teorie concordarono nel definire questi “criteri” come “soggettivi”, aventi tuttavia un fondamento comune in alcune facoltà umane come il sentimento, la fantasia, l’ ”intelletto intuitivo”.
Gli studiosi definirono in modo sistematico le relazioni tra sfera cognitiva e sfera estetica e pertanto concepirono l’Estetica come una disciplina filosofica autonoma.
Kant
Se Baumgarten fondò l’Estetica come una branca autonoma della filosofia, fu Kant a definirne la collocazione precisa.
Nella “Critica del giudizio”, egli considerò i “giudizi del bello” e i “giudizi del sublime”, ovvero i “giudizi del gusto”, come forme particolari del “giudizio riflettente”.
Quest’ultimo stabiliva una relazione tra una data rappresentazione e un dato piacere libero da interessi o desideri.
Per Kant i giudizi estetici erano espressione di armonia tra immaginazione, intesa come sintesi libera delle rappresentazioni, e intelletto, considerato come facoltà di leggi aprioristiche.
Perciò erano considerati soggettivi ma comuni e necessari a ogni uomo.
Inoltre, Kant considerò il “sublime” come effetto soggettivo delle idee della ragione sull’anima, per questo esso diventa il tramite tra l’intelletto e il fine morale.
Arte ed Estetica: L’Ottocento
Durante l’Ottocento, le concezioni filosofiche dell’Idealismo riguardanti Arte ed Estetica portarono a subordinare l’ambito estetico a quello cognitivo.
Per Shelling nel prodotto artistico si manifestava l’identità tra spirito e materia, coscienza e incoscienza, libertà e necessità, soggetto e oggetto, ovvero l’assoluto.
Hegel
L’Estetica di Hegel presentava come peculiare la concezione dell’Arte come fenomeno storico-sociale.
Il fondamentale problema estetico del rapporto tra soggetto e oggetto fu svuotato di qualsiasi contenuto quando venne ricondotto da Hegel alle forme concrete da esso assunte nei vari periodi storici.
I problemi estetici venivano “dissolti” nei problemi storici, colti però nel loro significato universale, che aveva fondamento nel processo che dalla Natura giungeva allo Spirito assoluto.
Per Hegel ogni epoca storica rappresentava un tappa del processo di autorealizzazione dello spirito.
Perciò, diventava importante sia l’individuazione della collocazione fenomenologica di ogni periodo storico che la determinazione delle interconnessioni tra le diverse sfere della realtà sociale, compresa l’estetica.
Hegel dette una risposta al problema dell’individuazione della collocazione fenomenologica di ogni periodo storico con la teoria dei tre momenti dello sviluppo dialettico dell’arte:
per prima, l’ “arte simbolica” orientale, dove la forma sensibile prevaleva sull’idea;
quindi, l’ “arte classica” greca, dove la forma sensibile e idea si adeguano completamente;
infine, l’ “arte romantica”, dove l’idea trascende comunque la forma in cui si concretizza.
Per Hegel, solo l’ “arte classica” aveva raggiunto l’ “esteticità” con la manifestazione dell’ “essenza” attraverso il “fenomeno”.
Hegel dette una risposta astratta al problema dei rapporti tra Arte ed Estetica, valida per tutte le epoche.
Questa determinazione lo portò alla teoria della “morte dell’arte”.
Arte ed Estetica Marxista
Il problema delle interconnessioni tra Arte ed Estetica, considerate come ambiti di una stessa realtà sociale, fu centrale nella concezione materialistica della storia, sviluppata da Marx e Engels.
L’Estetica marxista considerò l’Arte una manifestazione ideologica, ossia una “sovrastruttura” collegata dialetticamente alla “struttura” sociale.
Arte ed Estetica: Il Novecento
Nel Novecento, il problema della specificità dell’Arte rispetto alle altre forme ideologiche venne affrontato con metodi scientifici, che prendevano in esame singolarmente i vari problemi estetici.
In tale contesto, l’Estetica non fu più vista come un “discorso filosofico generale sull’arte” e si ridusse a un’area di confluenza interdisciplinare scientifica.
Pertanto, si svilupparono diversi approcci al mondo dell’Arte, aventi oggetti di studio diversi.
Le Estetiche Marxiste
Vari studiosi svilupparono i loro studi partendo dalla concezione marxista dell’Arte.
Lukács concepì l’Arte come specchio della Realtà (intesa questa come processo reale di sviluppo della società).
Pertanto, nella misura in cui l’Arte è realista, essa interagisce con la struttura sociale, ne rappresenta la dinamica profonda e assolve a una funzione progressiva.
Tale impostazione presentava il problema di instaurare nuovamente un’Estetica normativa.
Anche le successive teorie del “realismo socialista” si dimostrarono delle estetiche normative e precettistiche che aggiravano il problema della definizione della specificità dell’Arte rispetto alle altre forme di ideologia.
La Sociologia dell’Arte
La Sociologia dell’Arte si avvicinava, per metodi e tematiche, all’Estetica marxista, poiché studiava specialmente i rapporti tra produzione artistica e società.
Autori come Plechanov dettero una visione ancora positivista della Sociologia dell’Arte, ricercando l’equivalente “sociologico” o di “classe” riflesso in una data opera.
Altri studiosi, come Adorno, Benjamin, Bloch, arrivarono a visioni indipendenti, sfumate e complesse dei rapporti tra struttura sociale e produzione artistica.
In questi casi, l’Arte diventò una delle forme di coscienza del fine utopico della storia umana, ovvero l’affrancamento dall’alienazione.
Goldmann impostò la sua Sociologia dell’Arte analizzando i relazioni intercorrenti tra l’insieme delle manifestazioni artistiche e la struttura dei rapporti di classe relativi a una data epoca.
Estetica e Linguistica
Altri criteri estetici si svilupparono partendo dalla Linguistica di Saussurre, distinguendosi tra di loro a seconda delle diverse metodologie o dei diversi aspetti del linguaggio presi in esame.
Per esempio, Jakobson utilizzò la nozione di “funzione linguistica” del Circolo di Praga e la distinzione nel linguaggio tra “asse sintagmatico” e “asse paradigmatico” di Saussure per definire la funzione poetica.
L’uso poetico della lingua venne caratterizzato dal basare la scelta degli elementi linguistici sul criterio di “equivalenza” fonica, semantica o prosodica.
Questa teoria si propose di identificare la “componente estetica” presente in qualsiasi tipo di linguaggio.
In tale modo l’Arte non fu più l’oggetto privilegiato dell’Estetica e quest’ultima divenne definibile solo attraverso le metodologie applicate.
Gli studi sulle “strutture della narratività”, soggiacenti alla costruzione del “racconto” in senso lato (letterario, mitico, folklorico, ecc.), derivarono invece dalle indagini pioneristiche di Propp e dagli studi europei di semantica linguistica.
La Componente Individuale e la Psicologia dell’Arte
Il ruolo della componente individuale nella creazione artistica venne analizzato da altri studiosi.
Ad esempio, Spitzer impostò la sua analisi stilistica sugli “scarti dalla norma linguistica” operati dall’autore, ritenuti fondamentali per comprenderne i tratti distintivi individuali.
Partendo dalla psicoanalisi e dall’antropologia, la Psicologia dell’Arte affrontò lo stesso problema cercando di individuare metafore, simboli, emblemi, associazioni inconsce ricorrenti in un dato artista attraverso l’analisi della sua opera.
L’Estetica Sperimentale
Studiosi come Birkhoff, Fechner, Lipps, von Helmholtz, svilupparono la cosiddetta “Estetica sperimentale” che, attraverso metodologie psicologiche e matematiche, cercò di caratterizzare rigorosamente la percezione estetica.
Con i medesimi intenti, Bense e Moles applicarono all’Estetica gli strumenti concettuali della “teoria dell’informazione”.
Queste teorie partivano dal presupposto di potere definire matematicamente un “Bello assoluto” sulla base dell’intensità e del tipo di “piacere estetico”.
Le Estetiche Filosofiche
Nel Novecento, accanto a tutte queste “estetiche scientifiche” continuarono a persistere “estetiche filosofiche”.
Per esempio, Benedetto Croce affermò che il fatto estetico viene contraddistinto dalla Forma (intesa come la “libera elaborazione spirituale” delle “impressioni”) invece che dal Contenuto (inteso come ciò che determina le “impressioni” nello “spirito”).
Dewey, invece, concepì l’Arte contemporaneamente come “processo” diretto alla realizzazione di un “fine” e come “prodotto” capace di soddisfare un determinato “bisogno”.
Essa non si distinguerebbe da altre attività umane se non nel fatto di avere come unico scopo la “compiutezza” della fruizione estetica.
Cassirer definì l’Arte come un particolare tipo di “funzione simbolica” dell’uomo, accomunata al linguaggio, al mito, alla religione, alla scienza.
Langer e Morris considerarono l’Opera d’Arte come un “segno iconico” che contemporaneamente possedeva e designava delle “proprietà di valore”.
Heidegger e Gadamer proposero una definizione “ontologica” dell’Arte.
In particolare, l’Arte avrebbe avuto la capacità di mettere in crisi le vecchie “prospettive” ed essere “origine” di nuovi “rapporti” dell’uomo con il mondo.
L’Estetica Filosofica Critica
L’Estetica filosofica “critica” partì dallo studio delle opere di Nietzsche, Benjamin, Heidegger e Adorno.
Essa sottolineò la precarietà dell’esperienza del Bello e dell’Arte nella società contemporanea.
Pertanto, essa considerò l’esperienza estetica essenzialmente instabile.
Le trasformazioni della società avvicinarono le tesi dell’Estetica filosofica “critica” a quelle “situazioniste” della “Società dello Spettacolo” di Debord.
L’Estetica fu estesa a tutta l’Esistenza: la categoria di “Apparenza” fu generalizzata, per cui la Realtà fu vista sotto il segno del Simulacro.